In un Paese come l’Italia, dove il dissesto idrogeologico, dovuto anche alle caratteristiche dei territori, è una priorità ed un tema di attualità, si deve essere ancor più precisi e puntuali nel chiarire una questione che è usata dai più per gestire illegalmente i rifiuti inerti provenienti dalle attività di costruzione e demolizione, anziché inviarli al riciclo: la differenza che esiste tra terre e rocce da scavo ed i rifiuti di cantiere.

Per quanto a valle di puntuali analisi chimiche di più campioni da prelevarsi dal sito, la normativa, anche quella Italiana, prevede che in taluni casi le terre e rocce provenienti da scavi possano essere riutilizzate, anche in situ, per riempimenti.

La destinazione delle terre e rocce da scavo per la realizzazione di riempimenti, in situ o altrove, è quindi un’operazione che può essere compiuta ma necessariamente a valle delle analisi del materiale in quanto è molto facile che terreni inquinati possano venir scavati in un cantiere e riversati in un’altra zona, magari non inquinata, compromettendone l’equilibrio e la salubrità.

Ma attenzione, utilizzare invece i rifiuti inerti per i riempimenti è un’operazione non solo illecita, soprattutto quando seppelliti “tali e quali”, ma estremamente pericolosa perché può provocare dissesti del sottofondo, frane, smottamenti o crateri.

Il problema qui sorge di duplice natura;

– Per essere utilizzati come materiali per riempimenti, i rifiuti inerti da C&D dovrebbero essere certificati al fine di rispondere ai requisiti che ogni prodotto destinato alle attività di costruzione deve avere; in pratica dovrebbero avere una marcatura CE. Ma i rifiuti da C&D, non trattati appropriatamente presso impianti atti ed autorizzati al riciclo, non potranno mai rientrare in tale casistica, ovvero è più banalmente affermabile che è impossibile per i C&DW non trattati passare test e prove funzionali a certificarne gli standard CEN.

– Il secondo aspetto è rappresentato dalla qualità e dalle caratteristiche ambientali dei C&DW: è difficile poterne definire a priori tali caratteristiche, soprattutto se non trattati, per via di disuniformità del materiali (molto eterogeneo) e spesso contaminato da altri agenti o sostante. Utilizzare quindi rifiuti inerti non trattati in attività di riempimento può provocare la diffusione incontrollata di agenti inquinanti nel territorio (non a caso tutte le discariche di inerti, perlomeno tutte quelle del gruppoSeipa ne sono dotate, dovrebbero avere un sistema di impermeabilizzazione del fondo e delle pareti per raccogliere i liquidi di percolazione, potenzialmente altamente inquinanti).

Nonostante l’idea di utilizzare i rifiuti inerti per i riempimenti possa sembrare un’idea “sostenibile” per la filiera imprenditoriale, d’altronde sembrano inermi a prima vista, oltre a non “maleodorare”, tale opzione andrebbe considerata solo a valle di un processo di riciclo apposito presso impianti autorizzati e certificati. In questo modo il prodotto ottenuto potrebbe essere analizzato e certificato. Ma una volta fatto ciò, ci si rende ben conto che i materiali così ottenuti hanno delle potenzialità meccaniche e fisiche assolutamente comparabili agli inerti naturali e, quindi, il loro riutilizzo per riempimenti diviene poco interessante perché antieconomico: i rifiuti inerti, una volta riciclati, stanno dimostrando di poter esser meglio impiegati per la produzione di malte, stabilizzati, betonabili, miscele cementizie, materiali per riempimenti ad altissime prestazioni per zone ove si debba intervenire in presenza di flussi d’acqua sotterranei..

Impiegarli direttamente per riempimenti sotterranei non aiuta la filiera del riciclo e l’economia circolare. In parte perché li fa sparire illegalmente dal mercato, in parte perché possono essere destinati a migliori, più redditizi e più nobili usi.